domingo, 1 de junio de 2008

Proyecto San Isidro

La forêt, restaurée par Carlos Caballero, depuis les années soixante.

Il bosco, riforestato da Carlos Caballero a partire dagli anni Sessanta.


Vu du projet San Isidro, et des terres cultivées par le projet.

Vista delle terre coltivate del Proyecto San Isidro.

Carlos Cabellero acommencé le travail de reforestation en 1958.

Carlos Caballero ha iniziato il lavoro di riforestazione nel 1958.


Aujourd'hui, c'est sa fille Alejandra, qui a prit le relais.

Oggi, sua figlia Aljandra continua con il progetto.

Paco Gomez, compagnon d'Alejandra, au milieu des plantations de tomates.

Paco Gomez, marito di Alejandra, nella serra in mezzo ai pomodori.

Four en terre.

Forno di terra.
Atelier de charpente.

Atelier di costruzione con legno.
Atelier de charpente.

Atelier di costruzione con legno.
L'ecole créé par le projet.

La scuola Magdalena Cervantes, finanziata grazie al progetto.
Cours de culture à l'école.

Ora di lavoro nell'orto alla scuola.
Cours de culture à l'école.

Ora di lavoro nell'orto alla scuola.
Atelier de toît en paille.

Atelier di tetto di paglia.
Atelier de toît en paille.

Atelier di tetto di paglia.
Ana et Tonatiuh sont volontaires au sein du projet.

Ana e Tonatiuh, volontari del progetto.

La ferme du projet.

Il rancho.

La ferme du projet.

Il rancho.
Le lait bio des vaches de la ferme part tous l es matins à l'école.

Il latte bio delle mucche del rancho, trasportato tutte le mattine alla scuola.
Au premier plan: lutte contre l'érosion grace à des
bottes de paille qui suivent le niveau du terrain.

In primo piano: lotta contro l'erosione grazie all'applicazione di paglia.
La scierie du village de Tlaxco.

La falegnameria di Tlaxco.
Restauration des sols: ces canyons se sont créés en 80 ans suite à la deforestation de la zone.

Restauro del suolo: questi canyons si soo formati in soli 80 anni, in seguito alla deforestazione selvaggia della zona.


Il “Proyecto San Isidro” non è né una comunità ecológica, né un centro di sperimentazione di ecocostruzione; non è un rancho dove si pratica agricultura organica, né una scuola alternativa ecologica, o un progetto si riforestazione. E’ tutto questo allo stesso tempo e qualche cosa di più: una proposta integrale di vita, nel rispetto della natura, del prossimo e della propria persona.

Alejandra Caballero e suo marito Francisco Gómez (Pancho) costituiscono rispettivamente “il comitato direttivo e il comitato esecutivo”, con le parole di Pancho, di questo progetto profondamente radicato nel contesto locale, la zona rurale nei dintorni di Tlaxco (un paese coloniale nello stato di Tlaxcala, a due ore dal DF). La familia di Alejandra, infatti, è installata nella zona da diverse generazioni; fu suo padre, Carlos Caballero, che intraprese, alla fine degli anni ’50, una personale lotta per riforestare la zona che aveva visto trasformarsi, ai tempi della sua infanzia, da bosco pini e quercie in terreno arido semidesertico. Il modello che lo inspirò era in quel momento d’avanguardia: si trattava della ricostruzione del suolo secondo i principi della biodinamica, ossia attraverso l’uso di composta organica e non dei prodotti chimici che a quei tempi erano considerati la soluzione a ogni tipo di problema agronomico. Il suo maestro fu il micorbiologo e ricercatore agronomo Ehrenfried Pfeiffer, che lavorava direttamente al fianco di Rudolf Steiner, padre dell’antroposofia (prospettiva filosofica olistica, che considera l’uomo in relazione imprescindibile con l’universo). Carlos si formò nel suo laboratorio di New York, e di ritorno alla sua terra natale iniziò l’avventura di riforestazione che occupò tutte le sue energie fino all’età di 70 anni, quando decise di dedicarsi all’antropolgia e dalla storia, e di lasciare completamente in mano ai suoi figli la difesa del bosco.

Alejandra racconta di essere cresciuta in un ambiente dove la salvaguardia del bosco e dell’ambiente occupavano un posto centrale nella sua vita quotidiana come nella sua educazione, rappresentando allo stesso tempo un modo di scoprire se stessa nella sua relazione con l’ambiente. Ed è questa visione della vita che cerca di condividere e di trasmettere attraverso del Proyecto San Isidro, con una preoccupazione più accentuata verso l’autosufficienza e la sostenibilità, in vista della crisi energetica e ambientale che sta toccando il nostro pianeta.

Il progetto si organizza quindi su differenti livelli, nel tentativo di mostrare in modo integrale che una vita alternativa al modello consumistico-urbano predominante è possibile, ad iniziare dall’autosufficienza alimentare. Parte dei terreni che occupa il progetto (alcuni di proprietà di Alessandra, altri in usofrutto) sono destinati all’agricoltura intensiva organica: diverse varietà di vegetali vengono coltivate in piccole quantità, senza l’uso di pesticidi o fertilizzanti chimici, ma di composta organica. Questo ottimo fertilizante deriva dalla decomposizione di escrementi umani (recuperati grazie all’uso del bagno secco) e animali (principalmente bovini), e dei rifiuti organici. Una piccola parte del terreno è occupata da una fattoria con pochi animali, allevati solo a base di acqua e mangime organico: due mucche, due vitelli, una decina di capre, qualche gallina e quattro tacchini…giusto l’essenziale per avere sempre a dispozione latte fresco, formaggi, uova e, di tanto in tanto, carne.

Ma l’alimentazione non è tutto: “senza bosco non c’è vita”, come dice Carlos, e quindi una gran parte dei terreni e delle energie del progetto vengono dedicati alla ricostruzione del suolo erosionato che circonda il rancho, in vista del secondo passo: la riforestazione. Finché il suolo non recupera le sue proprietà organiche, infatti, gli alberi non possono tornare a crescere: sarebbe come cercare di piantarli nella pietra. Anche qui il modello a cui si inspirano Pancho e Alejandra è quello della biodinamica, già sperimentato con successo da Carlos. La técnica consiste, a grandi linee, nello smuovere lo strato superficiale di terra erosionata, creare terrazze artificiali per bloccare l’erosione dell’acqua e collocarvi fasci di paglia, che funzionano come fertilizante, ed aggiungere composta organica.

Se il messaggio che si vuole trasmettere è quello che una vita autosufficiente e sostenibile è possibile, a patto di preservare gli alberi e la natura in generale, parte della missione di Alejandra è di trasmetterlo alle nuove generazioni, che rappresentano l’unica speranza per il futuro del nostro maltrattato pianeta. Il mezzo per raggiungere questo obiettivo (almeno su scala locale, che è l’unica sulla quale l’uomo ha una possibilità di azione concreta) è la “escuelita” . Fondata nel 1973 dalla madre di Alessandra, Magdalena Cervantes, questa scuola elementare trae ispirazione dalla dottrina antroposofica di Steiner (che considera l’essere umano implicato in tre relazioni basilari: con se stesso, con i suoi simili e con il medio ambiente), ma non segue in maniera diretta nessun modello. I principi elaborati da Steiner vengono ripresi e modificati attraverso la pratica quotidiana, nel confronto con una realtà locale precisa, ossia quella di una zona rurale ed estremamente povera, a cui la missione educativa della scuola era diretta nel momento in cui la iniziò la sua attività. Chiusa nel 1988 per vicende familiari, la scuola viene riaperta su iniziativa di Alejandra e di sua sorella Lourdes nel 1996. Oggi, con 70 studenti all’attivo, tutti proveniente dalla stessa Colonia Iturbide (non più estremamente povera ma sempre popolare), la scuola è più che mai radicata nel contesto locale.

Il Proyecto San Isidro è relazionato alla scuola in vari modi: innanzi tutto perché costituisce la sua unica fonte di finanziamente, apparte la retta pagata dagli scolari. In secondo luogo attraverso l’organizzazione di diverse attività con i bambini, come visite al bosco tutte le settimane, atelier di piante medicinali o di creazione di prodotti di bellezza naturali (shampoo, sapone, crema…), o ancora di sculture in terracotta etc.

Come per il progetto di riforestazione e quello di agricoltura organica, abbiamo avuto l’occasione di visitare la scuola di persona, guidati da un volontario che lavora al progetto da 8 mesi, Tonatiuh, ma soprattutto dagli stessi scolari, vere e proprie guide professionali. Nel corso delle prime due ore della mattinata, ci hanno accompagnato nella visita delle installazioni, spiegandoci senza economia di dettagli il tipo di tecnica di costruzione utilizzata per le aule, il funzionamento del bagno secco, e la composta che ne deriva. Ci hanno guidato nell’orto (che loro stessi coltivano e curano), attraverso le piante medicinali ed i legumi, e nella mensa, dove tutti i pasti sono a base di prodotti organici ed il latte che si beve viene trasportato ancora caldo tutte le mattine direttamente dal rancho. Il tipo di educazione che si imparte è centrata sull’educazione ambientale, attraverso la quale si promueve lo sviluppo integrale dell’essere umano.

Una parte importante del progetto, anche come forma di finanziamento, è costituita dal “rancho experimental El Pardo”, centro di formazione e sperimentazione in tecniche di eco-costruzione. I corsi che vengono organizzati sono di diverso tipo e argomento, ma principalmente riguardano la costruzione ecologica e la permacultura. In questi giorni il corso era sui tetti ecologici, e tra le varie tecniche abbordate abbiamo assistito alla costruzione di una struttura in legno, un tetto di paglia ed una volta in mattoni e gesso. L’accoglienza è stata incredibile, in una bella casa dedicata ad ospitare i partecipanti ai corsi, dove siamo stati alimentati a base di prodotti organici del rancho, cucinati con maestria da doña Adela. La mattina era dedicata alla parte pratica, ed il pomeriggio a discussioni, proiezione di video su habitat ecologico, crisi energetica etc., o visite a case ecosostenibili.

La prossima sfida di questo progetto, perché possa continuare tranquilamente, è di sviluppare l’aspetto promozionale : la concorrenza nata negli ultimi tempi in seguito alla moda dell’ecologia, portata avanti da strutture con maggiori disponibilità economiche, fa si che il Proyecto San Isidro si trovi di fronte alla necessità di “farsi pubblicità”, aspetto trascurabile quando si trattava della prima struttura a dare corsi di permacultura, 20 anni fa.

Così, approfittando di questo piccolo spazio indipendente (che bella sensazione!), facciamo un piccolo annuncio a chiunque sia interessato a mettere a disposizione le sue conoscenze in comunicazione e internet ed a vivere un’esperienza formativa, in un posto bellissimo e con persone aperte ed eccezionali. Il progetto cerca, infatti, un volontario in questo campo, a cui si offre super vitto e super alloggio, nonché la possibilità di partecipare ai corsi e dalle attività del centro. Se qualcuno fosse interessato a esperienze nell’ambito dell’agricoltura organica, della costruzione ecologica, della pedagogia sperimentale aperta o della riforestazione , (nonché ovviamente motivato ad andare in Messico!), questa potrebbe essere una bellissima occasione. Il link del sito, per gli interessati e/o i curiosi, è:

http://www.proyectosanisidro.com.mx/

Che ci siamo messi a fare, la pubblicità? No! E’ che quando si trova un progetto così buono, il minimo che si possa fare è contribuire alla sua promozione affinché possa continuare…Per fortuna non siamo ricercatori accademici fedeli all’astrazione; al contrario, cerchiamo di partecipare al cambio, di attivare un feed back reale con le persone che accenttano di accoglierci, insomma di “fare qualcosa”…sempre nel nostro piccolo….

sábado, 24 de mayo de 2008

Los Guayabos, Jalisco

Patio interno : il giardino "entra" nella casa grazie ad una serra, che funziona come riscaldamento d'inverno e si può aprire d'estate. Tutte gli ambienti della casa sono aperti, l'unica porta è quella di entrata. Il materiale di costruzione principale è l'adobe, con dettagli in pietra e legno. (Casa di Elena Ochoa e Juan Montaño).

Patio interieur : le jardin "rentre" dans la maison grace à une serre, qui fonctionne comme choffage pendant l'hiver et peut s'ouvrir pendant l'été. Tous les ambients de la maison sont ouverts, l'unique porte est celle d'entré. Le materiel de construcción pricipale est l' adobe, avec des dettailles en pierre et bois. (Maison de Elena Ochoa et Juan Montaño)


Roberto, lavora da 11 anni con Elena Ochoa. Quando costruirà la sua propria casa, sarà sicuramente in adobe.
Roberto, il travaille depuis 11 ans avec Elena Ochoa. Quand il pourra construire sa propre maison, ça sera sans doute de adobe.


Atelier di figurine in terracotta per i bambini del quartiere popolare che circonda Los Guayabos, centro residenziale per classe medio-alta.

Atelier de sculture en terre cuitte pour les enfants du quartier populaire qui entoure Los Guayabos, centre residentiel pour classe moyenne-haute.


Alcuni giovani de Los Guayabos lavorando nella serra. Preparano il terreno per l'idroponia (in primo piano) e per un piccolo allevamento di carpe (in secondo piano).

Des jeunes de Guayabos en train de travailler dans la serre. Ils preparent le terrain pour l'hydroponie (en premier plan) e pour un petit enlevage de carpes (sur le fond).

Casa di Elena Ochoa e Juan Montaño: vista del patio dalla cucina.

Maison de Elena Ochoa et Juan Montaño: vue du patio de la cuisine.

Adriana, moglie di Javier, que innaffia il suo orto.

Adriana, la femme de Javier, en train de roser son potager.

Anne Marie, amministratrice de Los Guayabos insieme a Javier, nella sua cucina.

Anne Marie, administratrice de Los Guayabos avec Javier, dans sa cuisine.


Wina, nel suo salotto con il figlio maggiore.

Wina, dans son salon avec son fils ainé.

Bagno in casa di Tere: dettaglio.

Salle de bain dans la maison de Tere: dettaille.

Area comune con piscina.

Air commune avec piscine.

Cisterne d'acqua nella scuola di costruzione in adobe e terra.

Chateaux d'eau dans l'école de construction en adobe et terre.

Cisterna d'acqua sopraelevata, con appartamento al piano inferiore.

Chateau d'eau surelevé, avec departement au rdc.


Mais piantato dai bambini de Los Guayabos durante un atelier.

Mais planté par les enfants de Los Guayabos pendant un atelier.

Carlos mentre lavora nel vivaio.

Carlos en train de travailler dans la serre.

Esterno di una casa.

Exterieur d'une maison.


Passseggiata a cavallo con Miki Aldaña, fondatore de Los Guayabos

Promenade à cheval avec Miki Aldaña, fondateur de Los Guayabos.

Ciao a tutti,
Eccoci di ritorno da Los Guayabos, una “comunitá ecologica” composta da una quarantina di famiglie, a 20 minuti dalla grande cittá di Guadalajara, nello stato di Jalisco. Gli stessi integranti della comunita’ non si riconoscono tanto come ecovillaggio, e in realta’ neanche come comunita’, quanto piuttosto come un qualunque fraccionamiento, ossia una sorta di zona residenziale, ma incentrato sulla salvaguardia dell’ambiente.
Los Guayabos e’ stato fondato al principio dagli anni ’80 dall’architetto Miguel Andaña, che nel pieno della sua carriera commerciale decise di ritirarsi nella natura e dedicarsi solo a costruzioni ecologiche, inziando a vivere, inizialmente solo ed in seguito in forma comunitaria con alcuni amici, nei terreni che ospitano oggi questo piccolo centro residenziale ecologico.
La formula comunitaria (lavoro collettivo, condivisione del cibo, coltivazione per l’autosufficienza) sin dall’inizio non ebbe grande successo: non tutti sono d’accordo sulle ragioni, ma gia’ dai primi anni la tendenza era piu’ quella di una coabitazione che di una vera comunita’. Con il tempo, alcuni dei fondatori sono rimasti a vivere a Los Guayabos, altri sono partiti, ed e’ avvenuto un ricambio di persone che hanno comprato o affittato case, dando vita a un’eterogenita’ ancora maggiore di interessi, obiettivi e visione della vita.
Il regolamento che venne creato all’inizio di questa avventura non viene rispettato da tutti, ed ai pochi realmente interessati alla questione ecologica si aggiungono molti abitanti attirati solo dalla bellezza e dalla tranquillitá del luogo, sia dal punto di vista della natura che dell’architettura, con una vantaggiosa ubicazione a soli 20 minuti da Guadalajara, la citta’ dove quasi tutti i guayabensi lavorano.
La partecipazione alla vita comunitaria, alle riunioni, ai differenti comitati, alle iniziative ecologiche o di socializzazione interna, e’ limitata a poche famiglie, circa una decina e sempre le stesse, che dedicano parte del loro tempo e delle loro energie per opere di ineteresse comunitario ed ecologico. Da questo punto di vista, una delle principali riuscite de los Guayabos e´proprio la salvaguardia dell’ambiente, attraverso varie iniziative, che vanno dalla reforestazione alla cura degli alberi in generale, dalla costruzione di piccole dighe per l’accumulazione dell’acqua al miglioramento del suolo attraverso metodi naturali (principalmente composta e lombricultura), dal riciclaggio delle acque nere alla costruzione con materiali ecologici (gli unici materiali permessi dal regolamento sono la terra, il legno e la pietra). Una delle piccole-grandi sucessi da questo punto di vista e’, per esempio, la rinascita (da tre anni a questa parte) di un ruscello che era completamente secco e scomparso da anni.
La difesa dell’ambiente si realizza anche sul piano istituzionale, per esempio attraverso la battaglia inziata 5 anni fa per il riconoscimento di 200 ettari di bosco che circondano los Guayabos (di proprieta’ del fondatore, Miguel Andaña, e di altri soci) come area naturale protetta. Questa lotta e’ legata anche al tentativo di proteggersi dall’urbanizzazione selvaggia, che in pochi anni ha causato l’avanzata della citta’ quasi ai bordi della comunita’, e che non accenna a diminuire. Un’altra delle battaglie de los Guayabos e’ per la pulizia del fiume che scorre all’interno della comunita’, dove 20 anni fa i primi guayabensi facevano il bagno e che ora assomiglia piu’ a una fogna che ad altro.
Dalla cisterna d’acqua sopraelevata l’orizzonte e’ abbastanza significativo: il limite del territorio de los Guayabos (o meglio dei terreni che lo circondano, di proprieta’ dello stesso fondatore) segna un confine di vegetazione con le terre deforestate tutto intorno, dando l’impressione – abastanza reale – si trovarsi in una sorta di oasi verde.
Apparte i conflitti interni, dovuti all’eterogenita’ di visioni di cui sopra ed all’impossibilita’ di imporre un certo tipo di vita sostenibile a tutti i guayabensi, alcune iniziative ci sono sembrate particolarmente interessanti.
Il progetto di miglioramento del suolo, di lombricultura e di cura degli alberi, affidato all’ingegnere Alvaro, costituisce una parte importante dell’attenzione all’ambiente. Rapprenta anche un mezzo di trasmissione di saperi, grazie all’organizzazione di atelier per i bambini residenti, che hanno partecipato con entusiasmo alla lombricutura o alla coltivazione del mais.
Alcuni giovani guayabensi, tra i 18 e i 25 anni, si stanno impegnando in differenti progetti (come la coltivazione idroponica di pomodori e lattuga, appena in fase iniziale, o la gestione dell’orto collettivo) che vanno in direzione dell’autosufficienza, sempre nell’ambito dellagricoltura organica. Gli stessi giovani stanno cercando di fare in modo che si ritorni ad una vita piu’ partecipativa e comunitaria, dove la relazione con la terra torni ad assumere un ruolo centrale per tutti gli abitanti de Los Guayabos.
All’interno della comunita’ – pur non essendo ufficialmente parte di essa – si trova una scuola di costruzione in terra, la CIPTEV, gestita da due dei primi guayabensi (Elena Ochoa e Juan Montaño) e da una loro collega architetta (Margarita Robertson). Nella scuola, oltre ai corsi annuali di diploma in costruzione e pittura con terra, si realizzano anche brevi atelier, come quello di figurine in terracotta per i bambini del vicinato, al quale abbiamo potuto assistere. Ci e’ sembrata una bella apertura all’esterno, visto che Los Guayabos (zona residenziale per classe media ed alta) si trova in un quartiere popolare, da dove proviene la maggior parte dei lavoratori interni (giardinieri, portieri, cuoche etc.): la condivisione di conoscenze e tecniche ecologiche con l’esterno ci sembra un’iniziativa positiva, anche se per il momento e’ancora molto limitata.
Due aspetti ci sono sembrati chiave: da un lato la volonta’ dei giovani a recuperare una tendenza all’autosufficienza che si e’ andata persa con gli anni ci fa pensare una sorta di ciclo, in cui le nuove generazioni recuperano obiettivi e modelli che ispirarono i fondatori, ma con un accento ancora piu’ marcato sull’ecologia e sul ritorno alla terra, coerentemente a una tendenza generale contemporanea.
Dall’altro lato, il modello de Los Guayabos ci e’ sembrato abbastanza “morbido” da essere facilmente applicabile e trasferibile: un centro residenziale quasi classico, ma dove due terzi della proprieta’ individuale sono destinati ad area verde di uso collettivo, dove i rifiuti vengono separati, dove in caso di incendio chiunque puo’ utilizzare il camioncino dei pompieri interno per collaborare alla difesa del bosco. E soprattutto dove si dedicano fondi e cure al bosco, al suolo, alla coltivazione organica, all’educazione e dalla formazione e dove tutti i materiali di costruzione delle case sono ecologici.
Per il resto, i problema ed i conflitti che ritroviamo all’interno de Los Guayabos sono probabilmente comuni a molte comunita’, dal condominio al centro residenziale classico, con l’aggiunta della questione ecologica, doce il conflitto e’ centrato sull’adesione o meno a un certo tipo di vita e di ideali.
I pro e i contro sono presenti in ogni situazione; cio’ che ci sembra vitale e importante (nonché l’unica possibilita’ per trovare nuove soluzioni) e’ di sperimentare formule di nuovi sistemi di convivenza tra uomini e sopratutto uomini e medio ambiente.





PAR ICI POUR LE FRANÇAIS



Nous voilà de retour des Guayabos, une communauté écologique, composée d’une quarantaine de familles, à 20 minutes de la deuxième plus grande ville du Mexique: Guadalajara, dans l’état de Jalisco. Les membres des Guayabos ne se revendiquent pas comme un éco village, sinon comme une zone résidentielle centrée sur la protection de l’environnement.
L’histoire des Guayabos commence dans les années 80, quand l’architecte Miguel Andaña décide de se retirer de sa fructueuse carrière d’architecte pour se consacrer à la construction écologique. Avec quelques amis, ils commencent à vivre en communauté, de façon très rudimentaire, sur les terrains qui deviendront les Guayabos des années plus tard.
La formule communautaire (travail collectif…) s’essouffle rapidement. La plupart des membres tendent plus à une cohabitation harmonieuse qu’à un partage de tous les aspects de la vie quotidienne. Certains s’en vont.
D’autres fondateurs sont restés. Sont venues s’ajouter des habitants de Guadalajara qui louent ou ont acheté terrain et maison. Aujourd’hui les habitants des Guayabos ont des points de vue différents sur leurs intérets et leurs objectifs de vie. Ce qui fait dire à certains que tout le monde n’a pas sa place dans la communauté; que certaines personnes sont venus s’installer parce que le quartier est jolie, sur et relativement bon marché à 20 minutes de Guadalajara, la ville où la plupart des guayabenses travaillent.
Le règlement institue par les fondateurs n est pas toujours respecté. A tel point que tous ne trient pas leurs poubelles !
Les écologistes les plus convaincus se cassent la tête pour redresser le cap. Mais peu de personnes participent aux réunions et aux divers ateliers et initiatives pour que les Guayabos soit vraiment écologique. Ce sont toujours les même, une dizaine de personnes, qui se mobilise et participe pour la vie communautaire et écologique.
De ce point de vue, la grande réussite des Guayabos réside dans la sauvegarde, l’entretien, et le renouveau du site et de l écosystème natif. Ceci à travers divers travaux:
-entretien et rénovation des sols, grâce notamment à la lombriculture.
-reforestation.
-sauvegarde des espèces natives.
-lutte contre l’érosion des sols, grâce au système de digues en pierre en botte de paille et à la reforestation.

Ces efforts permanents depuis plus de 20 ans ont permis au bois des Guayabos de renaitre et de s’étendre…jusqu’aux murs d’enceinte de la communauté ; de ces murs, commence une steppe d herbes sèches et d’arbustes rachitiques. La frontière est saisissante depuis le point de vue du petit château d’eau de la communauté.
Depuis 5 ans, les guayabenses (habitants des Guayabos) se battent pour placer les 200 hectares de bois en zone naturelle. La mairie, et l’état de Jalisco peinent a contenir une urbanisation sauvage qui commence à encercler la communauté. Ils refusent aussi d’abandonner une ressource foncière fructueuse. Autrefois perdu dans les collines, la communauté ne sait pas trop comment réagir et entretien peu de relations avec ses voisins périurbains. Du quartier populaire attenant aux Guayabos viennent la plupart des travailleurs de la communauté: jardiniers, baby Sitter, femme de ménage…
Seule l’école d’architecture de la fondatrice Elen Ochoa ouvre ses classes et ses ateliers à tous: travailleurs du quartier attenant, paysans indigènes…Ceci grâce aux prix modérés que coutent les formations de l’école. Elen, formée entre autre a l’école Cratère, de Grenoble, défend la construction en terre dans tous ses états: traditionnelle ou fusionnelle avec la paille, le bois et les pierres de taille d une carrière située dans les terrains des Guayabos.

Dans sa conception même, le village des Guayabos a été pensé pour s’adapter à l’écosystème: derrière les palmiers, les pins, les goyaviers, les murs d’Adobe, de bois et de Pierre de taille se devinent à peine; même pendant la saison sèche…
Le recyclage des eaux noires et grises se fait de façon anaérobiques, dans des réservoirs alloué à une ou plusieurs maisons.
Le règlement de construction des Guayabos limite la surface de pelouse et recommande l’emploi de plantes et d’arbres natifs dans le travail paysager.

Les relations entre les habitants des Guayabos sont ponctuées de conflits et d’une certaine incompréhension. L’inertie et le manque de vie des membres empêchent des prises de décisions qui pourraient transformer une communauté résidentielle en éco village productif.
Mais depuis 2 ans des initiatives renaissent, impulsée, notamment par Alvaro, ingénieur agronome, et un groupe de jeunes d’une vingtaine d années: Manuel, Diego, et leurs amis. La lombriculture a pris une ampleur de plusieurs tonnes, et le projet d’hydroponie biologique a pu trouver un financement.
Le renouveau écologique pourrait venir des 20-25 ans, plus apte a agir de façon ponctuelle. Ils pourraient redonner un souffle a une communauté qui peine a maintenir un cap participatif.
Ce cycle calme n’empêchent pas de s enthousiasmer d un modèle de vie réaliste et proche des contraintes péri urbaines, avec des habitants de la classe moyenne supérieure qui vont travailler en ville tous les jours:
-une architecture modeste et discrète en terre et en bois.
-une superficie (les 2/3) consacrée aux aires communes naturelles et de loisirs.
Les règles basiques utilisées dans la conception et l’entretien des Guayabos, ont fait de la communauté un éco quartier dont on tombe très vite amoureux. Le bien-être commun se ressent dans l’ouverture et l’amitié des habitants, qui vous ouvrent leurs portes des qu’ils vous voient, pour vous inviter dans des maisons enchanteresses.

martes, 13 de mayo de 2008

El Mirador, Veracruz, Mexico

Al colle dove si trovano le croci del pueblo, durante la messa.

Sur la colline où se trouvent les croix, pendant le messe.
Nella comunità, aspettando l'inizio della processione.

Dans la communauté, avant de la procession.
La banda che suona sul colle durante la messa.

La fanfare qui joue sur la colline pendant la messe.


La messa sul colle.

La messe sur la colline.



Ciao a tutti,
Ecco qualche foto della settimana che abbiamo passato al Mirador, la comunitá tepehua nella Sierra Huasteca di Veracruz che mi aveva accolto due anni fa durante la mia ricerca di antropologia sociale su cambio culturale e migrazione transnazionale.
Questa volta e’stata una visita personale alla familia che mi ha “adottato” e agli amici della comunitá, un’occasione per presentare loro Benjamin e per far conoscere a lui un Messico che non e’ da cartellone pubblicitario, quello che Bonfil Batalla chiama “México profundo”, ossia il Messico indigeno.
Il Messico e’ uno dei Paesi al mondo con la piú grande varietá di gruppi etnici e di idiomi (sono censate all’incirca 65 idiomi differenti), ed il passato indigeno costituisce da sempre una fonte di orgoglio nazionale per tutti i messicani, dovuto alla grandeza delle civiltá precolombiane che si sono sviluppate sul suo territorio.
Nella costituzione messicana si afferma che la ricchezza di questo Paese é fondata sulla diversitá dei suoi gruppi indigeni, i cui diritti (alla terra, all’espressione culturale e religiosa, alla rappresentanza política etc.) vengono affermati e garantiti dalla costituzione stessa.
Ciononostante, tra le dichiarazioni di apertura e le pratiche concrete del governo messicano e della classe dirigente in generale, il varco e’ quello famoso tra il “dire” e il “fare”. Durante tutta la storia delle relazioni tra popoli indigeni e spagnoli prima (attraverso il governo coloniale) e mestizos poi (nella forma di stato-nazione), sono segnati dalla stessa ambiguitá tra recuperazione del passato indigeno e riconoscimento della sua grandezza, e relegazione degli indigeni viventi ai margini della societá. Una contraddizione che porta da un lato alla celebrazione delle piramidi e dall’altro al razzismo che pervade, piú o meno fortemente e consapevolmente, gran parte della societá messicana nei confronti degli “indios”, categoría dispregiativa che talora viene utilizzata come insulto.
Attualmente, in un Messico in pieno processo di cambio, marcato dall’ apertura del governo messicano al liberalismo economico a partire dalla firma del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti e il Canada nel 1994, i popoli indigeni messicani continuano a essere relegati al margine della societá. I diritti che vengono loro riconosciuti nella Costituzione, non vengono rispettati nella realtá. La terra, che era tornata nelle loro mani grazie al reparto agrario post-rivoluzionario (che garantiva l’inviolabilitá della proprietá comunale, el ejido), sono state liberalizzate con la modifica dell’articolo 27 della costituzione, permettendo cosí alle potenti famiglie di caciques di appropriarsi nuovamente di grandi porzioni di terra e di ricostituire i latifondi. Il diritto di espressione é contradetto dall’ostacolazione da parte della Secretaria de Comunicaciones y Transportes di qualunque forma di espressione indipendente: le radio comunitarie e indigene non facenti parte del sistema statale di radio comunitarie sono sovente attaccate in maniera diretta e indiretta, a volte addirittura obbligate a chiudere senza una reale giustificazione, come è accaduto a Radio Huayacocotla (una radio attiva da piu’ di 30 anni al fianco degli indigeni nahua, tepehua e otomí nella Sierra di Veracruz) nel 1995. E su scala locale, le grandi famiglie di mestizos applicano, con la violenza quando è necessario, il loro potere e il loro controllo sulla terra. L’atroce attualitá dell’uccisione, lo scorso 7 aprile di due ragazze triqui, che lavoravano in una radio comunitaria nello stato di Oaxaca, rappresenta un triste simbolo, all’interno del quale si manifesta lo stato attuale della libertá di espressione degli indigeni messicani e l’uso della violenza nei loro confronti, che a partire dalla Conquista non e’ mai realmente terminato.
In questo contesto, localmente e globalmente, i popoli indigeni resistono – ormai da diversi secoli – continuando a coltivare le loro tradizioni, a parlare le loro lingue, a celebrare le loro feste e cerimonie. Ma al contrario di essere comunitá “chiuse”, come ci suggerisce l’immagine di societá tradizionale, si tratta di sistemi social in continua evoluzione e apertura, in interconnessione dinamica con un mondo che cambia a tutti i livelli.
E cosí, se torniamo al Mirador, troviamo una piccola comunitá, in una zona povera e emarginata del Messico, dove quasi tutte le famiglie hanno ormai una televisione, dove piú della metá degli uomini adulti e dei giovani in etá lavorativa si trova attualmente negli Stati Uniti (“El Norte”, o “El Otro Lado) o ha avuto una esperienza di migrazione, dove l’apprendimento del tepehua comincia ad essere posto in secondo piano rispetto allo studio dell’inglese, dove già da tempo l’artigianato locale è quasi completamente scomparso, per lasciare posto a un indumentario urbano (jeans e maglietta) e ad utensili in plastica, accanto a quelli tradizionali in terracotta, legno e pietra. Non ci sono molti segni esteriori di “indigenitá”, e per gli amanti del colore folclórico una permanenza in questa zona sarebbe deludente.
Ciononstante, le persone continuano ad assumere un’ identitá tepehua, che si manifesta in vari aspetti, come per esempio nella celebrazione di feste “sincretiche”, dove a piú livelli si mescolano il retaggio autoctono ed il cattolicesimo popolare spagnolo importato dai primi conquistadores e coloni; elementi atavici (come il culto degli elementi naturali) e simboli della modernitá (come accade durante il carnevale, dove ogni anno si incorporano maschere nuove prese dai personaggi dell’attualitá nazionale ed internazionale).
In questa visita al Mirador abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla “Fiesta de la Santa Cruz”, nella quale si celebra la croce di Gesú (simbolo densissimo, all’interno del quale si fondono lo strumento dell’evangelizzazione cattolica e la cosmovisione indígena, basata sui 4 punti cardinali e l’asse centrale che connette cielo e inframondo), en ella quale alcuni studiosi (come Roberto Williams García) riconoscono un culto primordiale di fertilitá.
Concretamente, la festa si organizza in tre giorni (2,3 e 4 di maggio), uno di preparazione e due di celebrazione. Durante il primo giorno, le 3 croci vengono trasportate dal colle, in cui si trovano durante tutto l’anno, alla comunitá, dove vengono ridipinte e “vestite” con dei fiori in carta velina che vengono preparati questo stesso giorno. Ognuno nella comunitá ha una partecipazione specifica alla preparazione della festa: pulire la comunitá, preparare i fiori, adornare le croci etc.. L’intera organizzazione é basata su un sistema di cargos, comune a tutte le comunitá indigene messicane: i diversi “padrini” si fanno carico delle diverse spese, ossia la banda (la música accompagna incesantemente i tre giorni della festa), il cibo per il convivio collettivo, l’uccisione di un maiale che viene distribuito giá cucinato a tutte le famiglie della comunitá etc.
Il secondo giorno, dopo il convivio comunitario, ha luogo la processione alla chiesa nel pueblo mestizo ( Tlachichilco), dove le croci vengono benedette dal prete (con incenso e acqua santa) e dove si celebra una messa “mista”: mestizos e indigeni, ognuno con le proprie croci e la propia banda, assistono insieme alla celebrazione, ed insieme realizzano un’ultima processione intorno al pueblo, alla fine della quale ognuno prende la propia strada, verso la comunitá o il centro del pueblo.
L’ultimo giorno si realizza una seconda processione: questa volta le croci vengono ricollocate sul colle (dove resteranno un altro anno a vegliare sulla comunitá) e benedette dagli stessi membri della comunitá, con coppal (una resina secca molto profumata, che e’ utilizzata in tutto il Messico per rituali di purificazione) e acqua benedetta. Alla fine della processione, tutti i membri della comunitá si ritrovano nella galera, la zona comune dedicata alle feste, dove si ringraziano ufficialmente tutti i padrinos della festa che hanno compiuto il loro dovere, e si annunciano i padrinos per la festa dell’anno successivo.
Infine, la croce piccola (una croce che è sustodita nella comunità dai tempi della rivoluzione) viene trasportata con un ultima processione in casa di quello che sarà durante tutto l’anno a venire il padrino della croce.
La banda lascia la comunitá e la vita riprende i ritmi quotidiani: lavorare nel campo, andare a prendere la legna,preparare tortillas, fagioli neri e caffé (la base dell’alimentazione indígena), riunirsi nel patio per parlare, discutere, giocare, spettegolare….
Nei giorni trascorsi al Mirador, l’interesse per i modi di vita sostenibili che a’ alla base del nostro progetto, e le informazioni che stiamo raccogliendo poco a poco al riguardo, hanno dato vita ad alcune riflessioni.
Il “progresso” che viene promosso dai programmi governamentali per i popoli indigeni é marcato dall’apertura ad un liberalismo economico (gli indigeni, dal 1995, hanno diritto a diventare proprietari della loro porzione di terra comunitaria, anteriormente in usofrutto, e di conseguenza a poterla vendere) ai cui benefici non potranno mai accedere, ma di cui pagano le conseguenza negative, come ad esempio la frustrazione per tutto ció che non possono comprare e per un modello di vita che vedono in televisione ma che non possono raggiungere. Parte di questo progresso è la costruzione di case in cemento, che sostituiscono il sistema tradizionale di costruzione in terra e legno, ideale per un clima sub tropicale caldo e umido. Il cemento (che il governo si incarica di distribuire a tonnellate nelle comunità indigene) è il peggiore isolante esistente, e fa sí che le case della comunità si siano trasformate in veri e propri forni, che conservano il calore accumulato durante la giornata fino all’alba. Status symbol, la casa in cemento in questo clima rappresenta una reale aberrazione, anche dal punto di vista estético, trasformando la comunità in una sorta si sobborgo emarginato suburbano, in perenne costruzione.
In un momento in cui su scala globale si sente l’esigenza di tornare a materiali di costruzione ecológica (terra, legno, paglia, calce) che sono isolanti efficaci in diversi climi, e che vengono riconosciuti piú salutari per il benessere umano generale, i popoli indigeni sono spinti (per accaparrarsi le briciole di un modelo di sviluppo capitalista al quale non hanno i mezzi per accedere pienamente) ad abbandonare quelli che sono i loro sistemi di costruzione tradizionale in vantaggio di materiali che nei paesi “sviluppati” si sta cercando di abbandonare.
Questo paradosso non e’ il solo a interconnettere la situazione attuale dei popli indigeni e la corrente che promueve una vita eco-sostenibile. La tendenza del “ritorno alla terra”, della coltivazione organica, dell’abbandono di semi geneticamenti modificati, ci riportano a sistemi che da sempre rappresentano il modello di relazione alla terra proprio dei gruppi indigeni messicani. Modello che viene ostacolato da programmi governamentali che promuovono l’utilizzo di semi geneticamente modificati, la commercializzazione della terra etc.
Questo ci ha portato a pensare che le differenti correnti ecologiste (eco-costruzione, permacultura, comunitá ecologiche …) e il movimiento indigeno (a partire dagli anni Settanta i popoli indigeni, non solo Messico ma in tutto il continente americano, si sono organizzati con movimenti etno-politici e di rappresentanza indigena locale, nazionale ed internazionale) potrebbero arricchirsi mutuamente a diversi livelli: le conoscenze indigene ed il loro tipo di relazione alla terra possono costituire un modello per chi si sta dedicando a sperimentare modi di vita eco-sostenibili, e le conoscenze tecniche e scientifiche sviluppate in questi ambiti potebbero apportare un grande miglioramento alle condizioni di vita delle comununitá indigene.
Ad esempio, per quanto riguarda un miglioramento tecnico delle costruzioni in terra e legno, o del sistema di recuperazione e reciclaggio dell’acqua; o con l’apportazione di semplici strumenti come il bagno secco, che permette un miglioramento delle condizione igieniche e la produzione di un ottimo fertilizzante, o il forno solare, che permette un notevole risparmio di legna, grazie all’utilizzazione dell’energia solare.
Queste ed altre riflessioni ci fanno pensare che la connessione tra differenti contesti costituisce una parte piccola ma importante del cambiamento che auspichiamo a scala globale, e che far circolare informazioni – per quanto astratto possa sembrare – rappresenta una parte importante di questo nostro progetto. Nel caso specifico della comunitá, ci siamo impegnati a trasmettere le poche conoscenze che abbiamo acquisito finora su costruzione ecologica, sistemi autosufficienti e sostenibilitá. E considerando che siamo solo all’inizio del viaggio, contiamo di poter creare altre connessioni, rafforzare reti esistenti, far circolare altre informazioni. Nel nostro piccolo….
Qualche giorno dopo la fine della festa anche noi abbiamo lasciato la comunitá, io con un po’ di tristezza per il poco tempo passato con la mia famiglia adottiva, e Ben con un altro tassello da aggiungere al Messico che inizia a conoscere…

miércoles, 30 de abril de 2008

Huehuecoyotl, Morelos, Mexico

Una famiglia di giovani che vivono a Huehuecoyotl.

Une famille de jeunes à Huehuecoyotl.
L'orto comunitario.

Le potager communautaire.
Andrès.
Toña.
Pollaio comunitario.

Poulets de la comunautée.

Il sistema di recupero e trattamento dell'acqua di casa di Toña, disegnato da lei per un corso.

Le système de recuperation et traitement des eaux chez Toña. Elle meme l'a dessiné pour un cours.







Vista di casa di Toña.

Vue de la maison de Toña.




salut a tous,
nous voila revenu de notre premier reportage dans notre premier ecovillage, on a eu du bol de commencer a Huehuecoyotl.
C est l histoire d une bande d artistes qui commence un tour du monde en bus et camions amenages dans les annes 70. la caravana arco iris por la paz, pour finalement s installer a cote de Tepoztlan, a une heure de Mexico dans les annees 80.
Ce sont un peu les parrains des communautes ecologiques au Mexique, ils connaissent tres bien l amerique latine et coordonne une bonne partiedes evenemetns ecologique sur le continent,Huehuecoyotl est plus un village d artistes qu un ecovillage. Si leur gestion de l eau est exemplaire (captation, traitement des eaux grises et des eaux noires...)le volet autosuffisance alimentaire a ete delaisse au profit d activites artistique et de formations a l ecologie.
Leur integration avec les communautes indiennes voisines est exemplaire, et ils n ont eu de cesse de developper le volet social. emancipation des femmes, creation de cooperatives, formations a la gestion et au traitement des eaux, militantisme en faveur de l agriculture traditionelle et bio: defense des varietes de maisnatives, et denonciation des lobby OGM et agricarburants qui sont tres fort ici au Mexique, et qui ont eu pour consequence l explosion des prix des denres alimentaires,et notamment de la Tortilla. aliment de base des familles mexicaines.
Nous avons passe 10 jours incroyables et repartons pleins de contacts et d idees pour la suite du reportage
Prochaine etapes: la sierra de Huayacocotla, en Veracruz, pour rendre visite a la famille d accueil de Fede. Il s’agit d‘une toute petite communauté tepehua, ou fede a passé un an (entre plusiers allé/retour) il y a deux ans. Ce week end aura lieux la “fiesta de las cruces”, qui occupe la communauté entiere pendant 3 jours, entre preparation et celebration. A l’origine était une celebration de fertilité liée au symbolisme de la croix (les 4 directions du cosmos), qui - au cours de 5 siecles de syncretisme -a incorporé la celebration de la croix de Jesus. Ainsi, on aura l‘occasion d’y participer et de passer un moment dans la communauté.
Probablement, le prochaine ecovillage sera a Tlaxcala: le “proyecto San Isidro”, un projet de permaculture, d‘education et de formation realisé en collaboration avec les communautés de paysans et indigens de la zone...
On vous embrasse tous bien fort

Ciao belli! (come direbbe mio padre “bella ce sarai”) Eccoci qua per un piccolo resoconto direttamente di ritorno dal primo ecovillaggio: Huehuecoyotl...non potevamo cominciare in un posto migliore.Huehue e’ stato fondato nel 1982 da un gruppo di artisti di ritorno dal giro del mondo in 14 anni a bordo di due camion (potremmo dire “hippi” peró loro non si riconoscono in questa definizione, o comunquegli sta stretta). Sono arrivati a Tepoztlan (a un’ora da Citta’ del Messico) e hanno deciso di mettere radici per un po’...e si sono fermati 26 anni. In questi anni ognuno ha disegnato e costruito poco a pocola sua casa (sono 15 in totale), con materiale ecologico e integrandola il piu’ possibile alla natura. Perfettamente integrati alla comunita’ compesina e indigena circostante, nel corso deglia anni hanno fomentato progetti di sviluupo, lotte sociali, festival artistici, movimenti popolari e femministi.....come a dire che non si sono trovati il loro pezzetto di paradiso e hanno chiuso la porta a chiave! parallelamente ognuno di loro ha dato vitaa progetti indipendenti che assomigliano piu’ a sogni diventati realta’: dalla “carovana arcoiris por la paz”, che e’ partita da huehue 7 anni fa e che si trova attualmente in brasile, a l’organizzazione dei “punks verdi”, gruppo indipendente di punks della periferia piu’ disgraziata di cittá del Messico che cercano di riabilitare il livello di vita attraverso la rivoluzione ecologica; dalla cooperativa di sarte campesine che e’ riuscita a esportarefino a gringolandia, a incontri internazionali di una settimana ai quali hanno partecipato migliaia di artisi , ecologisti e movimenti alternativi da tutto il mondo....Insomma, e’ un luogo cruciale, dove vivono personeaperte con centinaia di storie da raccontare, e che trovano senza problemi tutto il tempo per raccontarle!Siamo ritornati pieni di contatti, idee, stimoli per continuare il viaggio.....prossima tappa Huayacocotla e sierra di Veracruz, extra-progetto, solo per salutare la mia famiglia adottiva....Arriveremo giusto per la “fiesta de las cruces” (3 maggio), e di ritorno cominceremo ad andare verso Sud...insomma, fantastico, personalmente sto realizzando il mio sogno di fare “turisti per caso” !p.s. per la sezione in neogreco e finlandese ci stiamo attrezzando, quella in esperanto e’ quasi pronta....p.s.2 se il tono del resocnoto vi sembra troppo serio per essere scritto da me e’ solo che ho preso la decisione di risparmiarmi le minchiate per le mail personali, mi sembra piu’ dignitoso no?Baci a tutti, fede e ben

martes, 29 de abril de 2008

Introduction

Ecovillages, les citoyens de la terre

Problématique: enquêter sur les écovillages, les écocités et les modes de vie durables


«L’écosystème Terre ne supportera pas notre mode de développement actuel. Élaborer rapidement des solutions n’est plus une option.»
Rapport sur l’Avenir de l’Environnement Mondial, 2006, Programme des Nations Unis pour l’environnement

Sachant que notre mode de développement actuel n’est pas viable, nous voulons présenter des alternatives concrètes et transposables de mode de vie à faible empreinte écologique. à cette fin, nous nous proposons d’enquêter sur deux solutions déjà existantes à l’échelle globale :

-les écovillages ruraux autosuffisants.
-les écocités et les écoquartiers, situés dans un contexte urbain.
écovillage



Un écovillage est une communauté rurale qui se donne pour but d’avoir l’impact le plus faible possible sur l’environnement dans un cadre de justice sociale. Les stratégies mises en place pour aboutir à ces résultats sont variées: agriculture biologique et permaculture, architecture écologique, énergies renouvelables, optimisation des échanges économiques locaux, ouverture et interaction constructive avec son milieu environnant.

Une écocité est une zone résidentielle urbaine ou périurbaine gérée selon les principes du développement durable : écoconstruction, énergies renouvelables, recyclage, économie locale et solidaire. Contrairement aux écovillages, les écocités ne sont pas autosuffisantes, mais intégrées à la vie économique et sociale de la ville.

Enjeux

Recueillir le maximum d’informations sur les écovillages, les écocités et les modes de vie durables et les mettre en perspective. Proposer un guide de bonnes pratiques appropriables et transposables. Sensibiliser le grand public et démontrer la faisabilité des modes de vie durables.

Objectifs de l’action et réalisation

L’objectif principal est d’actualiser l’image que le grand public se fait du développement durable et de rendre chacun toujours plus conscient des problèmes concernant l’environnement. Pour aboutir à ce résultat nous voulons promouvoir des nouveaux modes de fonctionnement durables et efficaces auprès du grand public, des entreprises et des collectivités territoriales. Notre base est l’analyse et la compréhension des modalités de mise en œuvre des projets afin de pouvoir en assurer la promotion. Les écovillages font converger l’ensemble des aspects de l’écologie pratique. Pour cette raison, ils peuvent être des modèles de développement durable dans tous ces aspects : économiques, agricoles, techniques... Ils recherchent également un modèle social juste basé sur la mixité et la cohésion sociale.

Historique et objectifs des écovillages

Le Réseau Global d’Ecovillages (Global- Ecovillage Network) a été créé à la suite de l’engagement pris par les principaux chefs d’état mondiaux au sommet de Rio en 1992 pour un développement soutenable et respectueux de l’environnement. L’écovillage apparaît ainsi comme le lieu d’expérimentation et de démonstration des idées et technologies nouvelles propres à faire évoluer les sociétés humaines vers un futur désirable. Loin de représenter, comme cela a souvent été le cas des anciennes communautés soixante-huitardes, une sorte d’enclave autarcique et oppositionnelle, il est parfaitement intégré dans le tissu local, économique et institutionnel, dont il constitue un pôle attractif et innovant. Il est aussi l’occasion d’un important brassage humain et économique dans des régions souvent désertées, ceci du fait de ses nombreuses activités possibles : accueil et tourisme social, formation, création d’entreprises, agrobiologie, vie artistique, réinsertion, pédagogie alternative…

Dans la pratique

Les habitants d’un écovillage se fixent pour objectif de respecter l’être humain et de respecter l’environnement par :
-une économie à échelle humaine: démocratie directe, préoccupations sociales, solidarité, intégration économique et culturelle dans le milieu local. -l’emploi de techniques non polluantes et de matériaux sains, énergies renouvelables et recyclage des déchets.

La gamme étendue des activités dans un écovillage génère une économie locale :
-agriculture biologique, biodiversité, permaculture, cohérence biorégionale. -accueil, ressources, centre de formation. -arts et artisanats. -pépinière d’entreprises à critères éthiques. -écoles alternatives, chantiers, réinsertion, recherche.

Nous proposons une vaste enquête sur les initiatives prises à travers le monde pour réduire notre impact sur la planète. Nous proposerons des solutions adaptables par les collectivités, les entreprises et les particuliers. réalisation l’enquête sur le terrain

Les débuts de l’enquête nous ont permis de sélectionner des écovillages et et des écocités dont le modèle nous parait pertinent, universel et transposable. Les critères considérés sont : l‘intégration avec la société environnante (communautés rurales autochtones ou centres urbains), l’accent sur l’éducation, la prévention et la formation, le développement technologique.

La sélection des écovillages sur lesquels nous travaillerons évolue au fil de l’enquête. Nous nous intéresserons entre autres aux écocités et aux écovillages suivants : écovillages:
-Abra 144, Amazonie, Brésil -Fundar Galapagos, Iles Galapagos, Equateur -Institut de Permaculture et Ecovillage de Cerrado, Brésil -Las Canadas, Veracruz, Mexique -Los Guayabos, Jalisco, Mexique -Huehuecoyotl, Morelos, Mexique -The Panya Project, Chiang Ma, Thailande -Pun-Pun, Thailande -Green Valley, Johor Darul Takzim, Malaisie -Garden Villa, TamilNadu, Inde -Otamatea Ecovillage, Nouvelle Zélande écocités: -Ecotruly Park, Lima, Perou -Acuaregua, Santander, Colombie -Agrovilla El Prado, Santander, Colombie -Aldinga, Adelaide, Australie -Food Fores, Adelaide, Australie -Crystal Waters, Conondale, Australie

La diffusion et les supports

Si l’écologie est à la mode, elle devient un outil marketing. Une certaine pensée unique des médias et des politiques nous empêchent de concevoir et de promouvoir des modes de vie différents. Nous voulons faire passer un message positif et ouvert, informer et sensibiliser.

Ce reportage textes et photos sera diffusé à grande échelle sur quatre niveaux :
-expositions, colloques, matériel éducatif…
-conférences, interventions, partage des connaissances.
-presse : le reportage sera présenté à des rédactions: Geo, Ulysse, Sciences et Vie, Le Monde, Animan... La presse française produit peu de sujets de fond sur les aspects pratiques de l’écologie et du développement durable.
-édition : il sera présenté plusieurs projets aux éditeurs : livres photo, ouvrage de généralisation et de sensibilisation sur les modes de vie durables, guide et annuaire des écovillages dans le monde.

Equipe

Benjamin Bechet, 29 ans, photographe, journaliste
Collaboration avec les grands titres de la presse française et étrangère : LeMonde2, L’Express, Le Temps... Réalisations de reportages et de documentaires multimédia pour Médecins Sans Frontières, l’OMS, l’ONU... Projections et expositions à Visa pour l’Image au Festival International du Film sur les Droits Humains, Genève, Etats Généraux du film documentaire Lussas, Arles, Espace Lhomond, Flux Laboratory (Genève)...

Federica Romano, 27 ans, anthropologue
Master 2 en Ethnologie et Sociologie Comparative à l’Université de Paris X Nanterre en 2007. Boursière du gouvernement mexicain pour la réalisation d’une recherche en anthropologie sociale dans les communautés indigènes de la Sierra Huastèque en 2006.

Références

Dossier complet sur demande: CV, parutions, books,guideline sur le terrain

Calendrier
Janvier-mars 2008: phase de montage, préparation, prise de contacts sur le terrain.
Avril-septembre 2008: 1° partie de l’enquête: Amérique du Sud.
Octobre-décembre 2008: promotion et diffusion.
Janvier-juin 2009: 2° partie de l’enquête: Asie, Océanie.
Juillet-août 2009: participation à plusieurs festivals écologiques, promotion et diffusion.
Septembre-décembre 2009: 3° partie de l’enquête: Europe.
À partir de janvier 2010: réalisation d’un guide des écovillages et d’un livre photo, diffusion.




comment nous aider

Aide financière; déductible dans le cadre de la bourse Envie d’Agir. Offre de formation dans les domaines de l’ agriculture, de l’écoconstruction, du recyclage, des énergies...
Aide à l’élaboration de matériel pédagogique.
Production d’exposition et prêt de lieux d’expositions. Réseaux: introduction, diffusion dans des réseaux spécialisés.

Ils nous soutiennent

Programme des Nations Unies pour l’Environnement: parrainage moral et suivi du projet dans le cadre de la bourse « Envie d’Agir ».
Ecocentre du Périgord: offre de formation.
Okofen: fabricant de chaudière à granule: sponsor.
Oïkos: transformation du reportage en matériel pédagogique.
Prioriterre: production d’une exposition à la Maison de la Planète, Annecy.


pourquoi nous aider ?
Communication et plan média: il sera fait mention des sponsors dans toutes les publications presses sur les marché français, suisse et italien.
En Italie, projet d’édition avec GB Editoria.