sábado, 24 de mayo de 2008

Los Guayabos, Jalisco

Patio interno : il giardino "entra" nella casa grazie ad una serra, che funziona come riscaldamento d'inverno e si può aprire d'estate. Tutte gli ambienti della casa sono aperti, l'unica porta è quella di entrata. Il materiale di costruzione principale è l'adobe, con dettagli in pietra e legno. (Casa di Elena Ochoa e Juan Montaño).

Patio interieur : le jardin "rentre" dans la maison grace à une serre, qui fonctionne comme choffage pendant l'hiver et peut s'ouvrir pendant l'été. Tous les ambients de la maison sont ouverts, l'unique porte est celle d'entré. Le materiel de construcción pricipale est l' adobe, avec des dettailles en pierre et bois. (Maison de Elena Ochoa et Juan Montaño)


Roberto, lavora da 11 anni con Elena Ochoa. Quando costruirà la sua propria casa, sarà sicuramente in adobe.
Roberto, il travaille depuis 11 ans avec Elena Ochoa. Quand il pourra construire sa propre maison, ça sera sans doute de adobe.


Atelier di figurine in terracotta per i bambini del quartiere popolare che circonda Los Guayabos, centro residenziale per classe medio-alta.

Atelier de sculture en terre cuitte pour les enfants du quartier populaire qui entoure Los Guayabos, centre residentiel pour classe moyenne-haute.


Alcuni giovani de Los Guayabos lavorando nella serra. Preparano il terreno per l'idroponia (in primo piano) e per un piccolo allevamento di carpe (in secondo piano).

Des jeunes de Guayabos en train de travailler dans la serre. Ils preparent le terrain pour l'hydroponie (en premier plan) e pour un petit enlevage de carpes (sur le fond).

Casa di Elena Ochoa e Juan Montaño: vista del patio dalla cucina.

Maison de Elena Ochoa et Juan Montaño: vue du patio de la cuisine.

Adriana, moglie di Javier, que innaffia il suo orto.

Adriana, la femme de Javier, en train de roser son potager.

Anne Marie, amministratrice de Los Guayabos insieme a Javier, nella sua cucina.

Anne Marie, administratrice de Los Guayabos avec Javier, dans sa cuisine.


Wina, nel suo salotto con il figlio maggiore.

Wina, dans son salon avec son fils ainé.

Bagno in casa di Tere: dettaglio.

Salle de bain dans la maison de Tere: dettaille.

Area comune con piscina.

Air commune avec piscine.

Cisterne d'acqua nella scuola di costruzione in adobe e terra.

Chateaux d'eau dans l'école de construction en adobe et terre.

Cisterna d'acqua sopraelevata, con appartamento al piano inferiore.

Chateau d'eau surelevé, avec departement au rdc.


Mais piantato dai bambini de Los Guayabos durante un atelier.

Mais planté par les enfants de Los Guayabos pendant un atelier.

Carlos mentre lavora nel vivaio.

Carlos en train de travailler dans la serre.

Esterno di una casa.

Exterieur d'une maison.


Passseggiata a cavallo con Miki Aldaña, fondatore de Los Guayabos

Promenade à cheval avec Miki Aldaña, fondateur de Los Guayabos.

Ciao a tutti,
Eccoci di ritorno da Los Guayabos, una “comunitá ecologica” composta da una quarantina di famiglie, a 20 minuti dalla grande cittá di Guadalajara, nello stato di Jalisco. Gli stessi integranti della comunita’ non si riconoscono tanto come ecovillaggio, e in realta’ neanche come comunita’, quanto piuttosto come un qualunque fraccionamiento, ossia una sorta di zona residenziale, ma incentrato sulla salvaguardia dell’ambiente.
Los Guayabos e’ stato fondato al principio dagli anni ’80 dall’architetto Miguel Andaña, che nel pieno della sua carriera commerciale decise di ritirarsi nella natura e dedicarsi solo a costruzioni ecologiche, inziando a vivere, inizialmente solo ed in seguito in forma comunitaria con alcuni amici, nei terreni che ospitano oggi questo piccolo centro residenziale ecologico.
La formula comunitaria (lavoro collettivo, condivisione del cibo, coltivazione per l’autosufficienza) sin dall’inizio non ebbe grande successo: non tutti sono d’accordo sulle ragioni, ma gia’ dai primi anni la tendenza era piu’ quella di una coabitazione che di una vera comunita’. Con il tempo, alcuni dei fondatori sono rimasti a vivere a Los Guayabos, altri sono partiti, ed e’ avvenuto un ricambio di persone che hanno comprato o affittato case, dando vita a un’eterogenita’ ancora maggiore di interessi, obiettivi e visione della vita.
Il regolamento che venne creato all’inizio di questa avventura non viene rispettato da tutti, ed ai pochi realmente interessati alla questione ecologica si aggiungono molti abitanti attirati solo dalla bellezza e dalla tranquillitá del luogo, sia dal punto di vista della natura che dell’architettura, con una vantaggiosa ubicazione a soli 20 minuti da Guadalajara, la citta’ dove quasi tutti i guayabensi lavorano.
La partecipazione alla vita comunitaria, alle riunioni, ai differenti comitati, alle iniziative ecologiche o di socializzazione interna, e’ limitata a poche famiglie, circa una decina e sempre le stesse, che dedicano parte del loro tempo e delle loro energie per opere di ineteresse comunitario ed ecologico. Da questo punto di vista, una delle principali riuscite de los Guayabos e´proprio la salvaguardia dell’ambiente, attraverso varie iniziative, che vanno dalla reforestazione alla cura degli alberi in generale, dalla costruzione di piccole dighe per l’accumulazione dell’acqua al miglioramento del suolo attraverso metodi naturali (principalmente composta e lombricultura), dal riciclaggio delle acque nere alla costruzione con materiali ecologici (gli unici materiali permessi dal regolamento sono la terra, il legno e la pietra). Una delle piccole-grandi sucessi da questo punto di vista e’, per esempio, la rinascita (da tre anni a questa parte) di un ruscello che era completamente secco e scomparso da anni.
La difesa dell’ambiente si realizza anche sul piano istituzionale, per esempio attraverso la battaglia inziata 5 anni fa per il riconoscimento di 200 ettari di bosco che circondano los Guayabos (di proprieta’ del fondatore, Miguel Andaña, e di altri soci) come area naturale protetta. Questa lotta e’ legata anche al tentativo di proteggersi dall’urbanizzazione selvaggia, che in pochi anni ha causato l’avanzata della citta’ quasi ai bordi della comunita’, e che non accenna a diminuire. Un’altra delle battaglie de los Guayabos e’ per la pulizia del fiume che scorre all’interno della comunita’, dove 20 anni fa i primi guayabensi facevano il bagno e che ora assomiglia piu’ a una fogna che ad altro.
Dalla cisterna d’acqua sopraelevata l’orizzonte e’ abbastanza significativo: il limite del territorio de los Guayabos (o meglio dei terreni che lo circondano, di proprieta’ dello stesso fondatore) segna un confine di vegetazione con le terre deforestate tutto intorno, dando l’impressione – abastanza reale – si trovarsi in una sorta di oasi verde.
Apparte i conflitti interni, dovuti all’eterogenita’ di visioni di cui sopra ed all’impossibilita’ di imporre un certo tipo di vita sostenibile a tutti i guayabensi, alcune iniziative ci sono sembrate particolarmente interessanti.
Il progetto di miglioramento del suolo, di lombricultura e di cura degli alberi, affidato all’ingegnere Alvaro, costituisce una parte importante dell’attenzione all’ambiente. Rapprenta anche un mezzo di trasmissione di saperi, grazie all’organizzazione di atelier per i bambini residenti, che hanno partecipato con entusiasmo alla lombricutura o alla coltivazione del mais.
Alcuni giovani guayabensi, tra i 18 e i 25 anni, si stanno impegnando in differenti progetti (come la coltivazione idroponica di pomodori e lattuga, appena in fase iniziale, o la gestione dell’orto collettivo) che vanno in direzione dell’autosufficienza, sempre nell’ambito dellagricoltura organica. Gli stessi giovani stanno cercando di fare in modo che si ritorni ad una vita piu’ partecipativa e comunitaria, dove la relazione con la terra torni ad assumere un ruolo centrale per tutti gli abitanti de Los Guayabos.
All’interno della comunita’ – pur non essendo ufficialmente parte di essa – si trova una scuola di costruzione in terra, la CIPTEV, gestita da due dei primi guayabensi (Elena Ochoa e Juan Montaño) e da una loro collega architetta (Margarita Robertson). Nella scuola, oltre ai corsi annuali di diploma in costruzione e pittura con terra, si realizzano anche brevi atelier, come quello di figurine in terracotta per i bambini del vicinato, al quale abbiamo potuto assistere. Ci e’ sembrata una bella apertura all’esterno, visto che Los Guayabos (zona residenziale per classe media ed alta) si trova in un quartiere popolare, da dove proviene la maggior parte dei lavoratori interni (giardinieri, portieri, cuoche etc.): la condivisione di conoscenze e tecniche ecologiche con l’esterno ci sembra un’iniziativa positiva, anche se per il momento e’ancora molto limitata.
Due aspetti ci sono sembrati chiave: da un lato la volonta’ dei giovani a recuperare una tendenza all’autosufficienza che si e’ andata persa con gli anni ci fa pensare una sorta di ciclo, in cui le nuove generazioni recuperano obiettivi e modelli che ispirarono i fondatori, ma con un accento ancora piu’ marcato sull’ecologia e sul ritorno alla terra, coerentemente a una tendenza generale contemporanea.
Dall’altro lato, il modello de Los Guayabos ci e’ sembrato abbastanza “morbido” da essere facilmente applicabile e trasferibile: un centro residenziale quasi classico, ma dove due terzi della proprieta’ individuale sono destinati ad area verde di uso collettivo, dove i rifiuti vengono separati, dove in caso di incendio chiunque puo’ utilizzare il camioncino dei pompieri interno per collaborare alla difesa del bosco. E soprattutto dove si dedicano fondi e cure al bosco, al suolo, alla coltivazione organica, all’educazione e dalla formazione e dove tutti i materiali di costruzione delle case sono ecologici.
Per il resto, i problema ed i conflitti che ritroviamo all’interno de Los Guayabos sono probabilmente comuni a molte comunita’, dal condominio al centro residenziale classico, con l’aggiunta della questione ecologica, doce il conflitto e’ centrato sull’adesione o meno a un certo tipo di vita e di ideali.
I pro e i contro sono presenti in ogni situazione; cio’ che ci sembra vitale e importante (nonché l’unica possibilita’ per trovare nuove soluzioni) e’ di sperimentare formule di nuovi sistemi di convivenza tra uomini e sopratutto uomini e medio ambiente.





PAR ICI POUR LE FRANÇAIS



Nous voilà de retour des Guayabos, une communauté écologique, composée d’une quarantaine de familles, à 20 minutes de la deuxième plus grande ville du Mexique: Guadalajara, dans l’état de Jalisco. Les membres des Guayabos ne se revendiquent pas comme un éco village, sinon comme une zone résidentielle centrée sur la protection de l’environnement.
L’histoire des Guayabos commence dans les années 80, quand l’architecte Miguel Andaña décide de se retirer de sa fructueuse carrière d’architecte pour se consacrer à la construction écologique. Avec quelques amis, ils commencent à vivre en communauté, de façon très rudimentaire, sur les terrains qui deviendront les Guayabos des années plus tard.
La formule communautaire (travail collectif…) s’essouffle rapidement. La plupart des membres tendent plus à une cohabitation harmonieuse qu’à un partage de tous les aspects de la vie quotidienne. Certains s’en vont.
D’autres fondateurs sont restés. Sont venues s’ajouter des habitants de Guadalajara qui louent ou ont acheté terrain et maison. Aujourd’hui les habitants des Guayabos ont des points de vue différents sur leurs intérets et leurs objectifs de vie. Ce qui fait dire à certains que tout le monde n’a pas sa place dans la communauté; que certaines personnes sont venus s’installer parce que le quartier est jolie, sur et relativement bon marché à 20 minutes de Guadalajara, la ville où la plupart des guayabenses travaillent.
Le règlement institue par les fondateurs n est pas toujours respecté. A tel point que tous ne trient pas leurs poubelles !
Les écologistes les plus convaincus se cassent la tête pour redresser le cap. Mais peu de personnes participent aux réunions et aux divers ateliers et initiatives pour que les Guayabos soit vraiment écologique. Ce sont toujours les même, une dizaine de personnes, qui se mobilise et participe pour la vie communautaire et écologique.
De ce point de vue, la grande réussite des Guayabos réside dans la sauvegarde, l’entretien, et le renouveau du site et de l écosystème natif. Ceci à travers divers travaux:
-entretien et rénovation des sols, grâce notamment à la lombriculture.
-reforestation.
-sauvegarde des espèces natives.
-lutte contre l’érosion des sols, grâce au système de digues en pierre en botte de paille et à la reforestation.

Ces efforts permanents depuis plus de 20 ans ont permis au bois des Guayabos de renaitre et de s’étendre…jusqu’aux murs d’enceinte de la communauté ; de ces murs, commence une steppe d herbes sèches et d’arbustes rachitiques. La frontière est saisissante depuis le point de vue du petit château d’eau de la communauté.
Depuis 5 ans, les guayabenses (habitants des Guayabos) se battent pour placer les 200 hectares de bois en zone naturelle. La mairie, et l’état de Jalisco peinent a contenir une urbanisation sauvage qui commence à encercler la communauté. Ils refusent aussi d’abandonner une ressource foncière fructueuse. Autrefois perdu dans les collines, la communauté ne sait pas trop comment réagir et entretien peu de relations avec ses voisins périurbains. Du quartier populaire attenant aux Guayabos viennent la plupart des travailleurs de la communauté: jardiniers, baby Sitter, femme de ménage…
Seule l’école d’architecture de la fondatrice Elen Ochoa ouvre ses classes et ses ateliers à tous: travailleurs du quartier attenant, paysans indigènes…Ceci grâce aux prix modérés que coutent les formations de l’école. Elen, formée entre autre a l’école Cratère, de Grenoble, défend la construction en terre dans tous ses états: traditionnelle ou fusionnelle avec la paille, le bois et les pierres de taille d une carrière située dans les terrains des Guayabos.

Dans sa conception même, le village des Guayabos a été pensé pour s’adapter à l’écosystème: derrière les palmiers, les pins, les goyaviers, les murs d’Adobe, de bois et de Pierre de taille se devinent à peine; même pendant la saison sèche…
Le recyclage des eaux noires et grises se fait de façon anaérobiques, dans des réservoirs alloué à une ou plusieurs maisons.
Le règlement de construction des Guayabos limite la surface de pelouse et recommande l’emploi de plantes et d’arbres natifs dans le travail paysager.

Les relations entre les habitants des Guayabos sont ponctuées de conflits et d’une certaine incompréhension. L’inertie et le manque de vie des membres empêchent des prises de décisions qui pourraient transformer une communauté résidentielle en éco village productif.
Mais depuis 2 ans des initiatives renaissent, impulsée, notamment par Alvaro, ingénieur agronome, et un groupe de jeunes d’une vingtaine d années: Manuel, Diego, et leurs amis. La lombriculture a pris une ampleur de plusieurs tonnes, et le projet d’hydroponie biologique a pu trouver un financement.
Le renouveau écologique pourrait venir des 20-25 ans, plus apte a agir de façon ponctuelle. Ils pourraient redonner un souffle a une communauté qui peine a maintenir un cap participatif.
Ce cycle calme n’empêchent pas de s enthousiasmer d un modèle de vie réaliste et proche des contraintes péri urbaines, avec des habitants de la classe moyenne supérieure qui vont travailler en ville tous les jours:
-une architecture modeste et discrète en terre et en bois.
-une superficie (les 2/3) consacrée aux aires communes naturelles et de loisirs.
Les règles basiques utilisées dans la conception et l’entretien des Guayabos, ont fait de la communauté un éco quartier dont on tombe très vite amoureux. Le bien-être commun se ressent dans l’ouverture et l’amitié des habitants, qui vous ouvrent leurs portes des qu’ils vous voient, pour vous inviter dans des maisons enchanteresses.

martes, 13 de mayo de 2008

El Mirador, Veracruz, Mexico

Al colle dove si trovano le croci del pueblo, durante la messa.

Sur la colline où se trouvent les croix, pendant le messe.
Nella comunità, aspettando l'inizio della processione.

Dans la communauté, avant de la procession.
La banda che suona sul colle durante la messa.

La fanfare qui joue sur la colline pendant la messe.


La messa sul colle.

La messe sur la colline.



Ciao a tutti,
Ecco qualche foto della settimana che abbiamo passato al Mirador, la comunitá tepehua nella Sierra Huasteca di Veracruz che mi aveva accolto due anni fa durante la mia ricerca di antropologia sociale su cambio culturale e migrazione transnazionale.
Questa volta e’stata una visita personale alla familia che mi ha “adottato” e agli amici della comunitá, un’occasione per presentare loro Benjamin e per far conoscere a lui un Messico che non e’ da cartellone pubblicitario, quello che Bonfil Batalla chiama “México profundo”, ossia il Messico indigeno.
Il Messico e’ uno dei Paesi al mondo con la piú grande varietá di gruppi etnici e di idiomi (sono censate all’incirca 65 idiomi differenti), ed il passato indigeno costituisce da sempre una fonte di orgoglio nazionale per tutti i messicani, dovuto alla grandeza delle civiltá precolombiane che si sono sviluppate sul suo territorio.
Nella costituzione messicana si afferma che la ricchezza di questo Paese é fondata sulla diversitá dei suoi gruppi indigeni, i cui diritti (alla terra, all’espressione culturale e religiosa, alla rappresentanza política etc.) vengono affermati e garantiti dalla costituzione stessa.
Ciononostante, tra le dichiarazioni di apertura e le pratiche concrete del governo messicano e della classe dirigente in generale, il varco e’ quello famoso tra il “dire” e il “fare”. Durante tutta la storia delle relazioni tra popoli indigeni e spagnoli prima (attraverso il governo coloniale) e mestizos poi (nella forma di stato-nazione), sono segnati dalla stessa ambiguitá tra recuperazione del passato indigeno e riconoscimento della sua grandezza, e relegazione degli indigeni viventi ai margini della societá. Una contraddizione che porta da un lato alla celebrazione delle piramidi e dall’altro al razzismo che pervade, piú o meno fortemente e consapevolmente, gran parte della societá messicana nei confronti degli “indios”, categoría dispregiativa che talora viene utilizzata come insulto.
Attualmente, in un Messico in pieno processo di cambio, marcato dall’ apertura del governo messicano al liberalismo economico a partire dalla firma del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti e il Canada nel 1994, i popoli indigeni messicani continuano a essere relegati al margine della societá. I diritti che vengono loro riconosciuti nella Costituzione, non vengono rispettati nella realtá. La terra, che era tornata nelle loro mani grazie al reparto agrario post-rivoluzionario (che garantiva l’inviolabilitá della proprietá comunale, el ejido), sono state liberalizzate con la modifica dell’articolo 27 della costituzione, permettendo cosí alle potenti famiglie di caciques di appropriarsi nuovamente di grandi porzioni di terra e di ricostituire i latifondi. Il diritto di espressione é contradetto dall’ostacolazione da parte della Secretaria de Comunicaciones y Transportes di qualunque forma di espressione indipendente: le radio comunitarie e indigene non facenti parte del sistema statale di radio comunitarie sono sovente attaccate in maniera diretta e indiretta, a volte addirittura obbligate a chiudere senza una reale giustificazione, come è accaduto a Radio Huayacocotla (una radio attiva da piu’ di 30 anni al fianco degli indigeni nahua, tepehua e otomí nella Sierra di Veracruz) nel 1995. E su scala locale, le grandi famiglie di mestizos applicano, con la violenza quando è necessario, il loro potere e il loro controllo sulla terra. L’atroce attualitá dell’uccisione, lo scorso 7 aprile di due ragazze triqui, che lavoravano in una radio comunitaria nello stato di Oaxaca, rappresenta un triste simbolo, all’interno del quale si manifesta lo stato attuale della libertá di espressione degli indigeni messicani e l’uso della violenza nei loro confronti, che a partire dalla Conquista non e’ mai realmente terminato.
In questo contesto, localmente e globalmente, i popoli indigeni resistono – ormai da diversi secoli – continuando a coltivare le loro tradizioni, a parlare le loro lingue, a celebrare le loro feste e cerimonie. Ma al contrario di essere comunitá “chiuse”, come ci suggerisce l’immagine di societá tradizionale, si tratta di sistemi social in continua evoluzione e apertura, in interconnessione dinamica con un mondo che cambia a tutti i livelli.
E cosí, se torniamo al Mirador, troviamo una piccola comunitá, in una zona povera e emarginata del Messico, dove quasi tutte le famiglie hanno ormai una televisione, dove piú della metá degli uomini adulti e dei giovani in etá lavorativa si trova attualmente negli Stati Uniti (“El Norte”, o “El Otro Lado) o ha avuto una esperienza di migrazione, dove l’apprendimento del tepehua comincia ad essere posto in secondo piano rispetto allo studio dell’inglese, dove già da tempo l’artigianato locale è quasi completamente scomparso, per lasciare posto a un indumentario urbano (jeans e maglietta) e ad utensili in plastica, accanto a quelli tradizionali in terracotta, legno e pietra. Non ci sono molti segni esteriori di “indigenitá”, e per gli amanti del colore folclórico una permanenza in questa zona sarebbe deludente.
Ciononstante, le persone continuano ad assumere un’ identitá tepehua, che si manifesta in vari aspetti, come per esempio nella celebrazione di feste “sincretiche”, dove a piú livelli si mescolano il retaggio autoctono ed il cattolicesimo popolare spagnolo importato dai primi conquistadores e coloni; elementi atavici (come il culto degli elementi naturali) e simboli della modernitá (come accade durante il carnevale, dove ogni anno si incorporano maschere nuove prese dai personaggi dell’attualitá nazionale ed internazionale).
In questa visita al Mirador abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla “Fiesta de la Santa Cruz”, nella quale si celebra la croce di Gesú (simbolo densissimo, all’interno del quale si fondono lo strumento dell’evangelizzazione cattolica e la cosmovisione indígena, basata sui 4 punti cardinali e l’asse centrale che connette cielo e inframondo), en ella quale alcuni studiosi (come Roberto Williams García) riconoscono un culto primordiale di fertilitá.
Concretamente, la festa si organizza in tre giorni (2,3 e 4 di maggio), uno di preparazione e due di celebrazione. Durante il primo giorno, le 3 croci vengono trasportate dal colle, in cui si trovano durante tutto l’anno, alla comunitá, dove vengono ridipinte e “vestite” con dei fiori in carta velina che vengono preparati questo stesso giorno. Ognuno nella comunitá ha una partecipazione specifica alla preparazione della festa: pulire la comunitá, preparare i fiori, adornare le croci etc.. L’intera organizzazione é basata su un sistema di cargos, comune a tutte le comunitá indigene messicane: i diversi “padrini” si fanno carico delle diverse spese, ossia la banda (la música accompagna incesantemente i tre giorni della festa), il cibo per il convivio collettivo, l’uccisione di un maiale che viene distribuito giá cucinato a tutte le famiglie della comunitá etc.
Il secondo giorno, dopo il convivio comunitario, ha luogo la processione alla chiesa nel pueblo mestizo ( Tlachichilco), dove le croci vengono benedette dal prete (con incenso e acqua santa) e dove si celebra una messa “mista”: mestizos e indigeni, ognuno con le proprie croci e la propia banda, assistono insieme alla celebrazione, ed insieme realizzano un’ultima processione intorno al pueblo, alla fine della quale ognuno prende la propia strada, verso la comunitá o il centro del pueblo.
L’ultimo giorno si realizza una seconda processione: questa volta le croci vengono ricollocate sul colle (dove resteranno un altro anno a vegliare sulla comunitá) e benedette dagli stessi membri della comunitá, con coppal (una resina secca molto profumata, che e’ utilizzata in tutto il Messico per rituali di purificazione) e acqua benedetta. Alla fine della processione, tutti i membri della comunitá si ritrovano nella galera, la zona comune dedicata alle feste, dove si ringraziano ufficialmente tutti i padrinos della festa che hanno compiuto il loro dovere, e si annunciano i padrinos per la festa dell’anno successivo.
Infine, la croce piccola (una croce che è sustodita nella comunità dai tempi della rivoluzione) viene trasportata con un ultima processione in casa di quello che sarà durante tutto l’anno a venire il padrino della croce.
La banda lascia la comunitá e la vita riprende i ritmi quotidiani: lavorare nel campo, andare a prendere la legna,preparare tortillas, fagioli neri e caffé (la base dell’alimentazione indígena), riunirsi nel patio per parlare, discutere, giocare, spettegolare….
Nei giorni trascorsi al Mirador, l’interesse per i modi di vita sostenibili che a’ alla base del nostro progetto, e le informazioni che stiamo raccogliendo poco a poco al riguardo, hanno dato vita ad alcune riflessioni.
Il “progresso” che viene promosso dai programmi governamentali per i popoli indigeni é marcato dall’apertura ad un liberalismo economico (gli indigeni, dal 1995, hanno diritto a diventare proprietari della loro porzione di terra comunitaria, anteriormente in usofrutto, e di conseguenza a poterla vendere) ai cui benefici non potranno mai accedere, ma di cui pagano le conseguenza negative, come ad esempio la frustrazione per tutto ció che non possono comprare e per un modello di vita che vedono in televisione ma che non possono raggiungere. Parte di questo progresso è la costruzione di case in cemento, che sostituiscono il sistema tradizionale di costruzione in terra e legno, ideale per un clima sub tropicale caldo e umido. Il cemento (che il governo si incarica di distribuire a tonnellate nelle comunità indigene) è il peggiore isolante esistente, e fa sí che le case della comunità si siano trasformate in veri e propri forni, che conservano il calore accumulato durante la giornata fino all’alba. Status symbol, la casa in cemento in questo clima rappresenta una reale aberrazione, anche dal punto di vista estético, trasformando la comunità in una sorta si sobborgo emarginato suburbano, in perenne costruzione.
In un momento in cui su scala globale si sente l’esigenza di tornare a materiali di costruzione ecológica (terra, legno, paglia, calce) che sono isolanti efficaci in diversi climi, e che vengono riconosciuti piú salutari per il benessere umano generale, i popoli indigeni sono spinti (per accaparrarsi le briciole di un modelo di sviluppo capitalista al quale non hanno i mezzi per accedere pienamente) ad abbandonare quelli che sono i loro sistemi di costruzione tradizionale in vantaggio di materiali che nei paesi “sviluppati” si sta cercando di abbandonare.
Questo paradosso non e’ il solo a interconnettere la situazione attuale dei popli indigeni e la corrente che promueve una vita eco-sostenibile. La tendenza del “ritorno alla terra”, della coltivazione organica, dell’abbandono di semi geneticamenti modificati, ci riportano a sistemi che da sempre rappresentano il modello di relazione alla terra proprio dei gruppi indigeni messicani. Modello che viene ostacolato da programmi governamentali che promuovono l’utilizzo di semi geneticamente modificati, la commercializzazione della terra etc.
Questo ci ha portato a pensare che le differenti correnti ecologiste (eco-costruzione, permacultura, comunitá ecologiche …) e il movimiento indigeno (a partire dagli anni Settanta i popoli indigeni, non solo Messico ma in tutto il continente americano, si sono organizzati con movimenti etno-politici e di rappresentanza indigena locale, nazionale ed internazionale) potrebbero arricchirsi mutuamente a diversi livelli: le conoscenze indigene ed il loro tipo di relazione alla terra possono costituire un modello per chi si sta dedicando a sperimentare modi di vita eco-sostenibili, e le conoscenze tecniche e scientifiche sviluppate in questi ambiti potebbero apportare un grande miglioramento alle condizioni di vita delle comununitá indigene.
Ad esempio, per quanto riguarda un miglioramento tecnico delle costruzioni in terra e legno, o del sistema di recuperazione e reciclaggio dell’acqua; o con l’apportazione di semplici strumenti come il bagno secco, che permette un miglioramento delle condizione igieniche e la produzione di un ottimo fertilizzante, o il forno solare, che permette un notevole risparmio di legna, grazie all’utilizzazione dell’energia solare.
Queste ed altre riflessioni ci fanno pensare che la connessione tra differenti contesti costituisce una parte piccola ma importante del cambiamento che auspichiamo a scala globale, e che far circolare informazioni – per quanto astratto possa sembrare – rappresenta una parte importante di questo nostro progetto. Nel caso specifico della comunitá, ci siamo impegnati a trasmettere le poche conoscenze che abbiamo acquisito finora su costruzione ecologica, sistemi autosufficienti e sostenibilitá. E considerando che siamo solo all’inizio del viaggio, contiamo di poter creare altre connessioni, rafforzare reti esistenti, far circolare altre informazioni. Nel nostro piccolo….
Qualche giorno dopo la fine della festa anche noi abbiamo lasciato la comunitá, io con un po’ di tristezza per il poco tempo passato con la mia famiglia adottiva, e Ben con un altro tassello da aggiungere al Messico che inizia a conoscere…